Il 2 giugno 1946 in Italia si vota per scegliere tra la Repubblica o la monarchia, un referendum al quale, per la prima volta, si applica il suffragio universale. Dunque, come viene sempre ricordato, quella è la prima volta in cui votano anche le donne.

In realtà, però, per una parte delle donne italiane era la seconda volta, perché nel marzo 1946 c’erano state le elezioni amministrative che avevano portato anche all’elezione di due sindaci donna (l'immagine che abbiamo scelto è tratta da un numero speciale di "Noi donne", il giornale dell'UDI, dedicato proprio a queste prime elezioni).

In ogni caso, il 2 giugno è  una data fondante, lo snodo cruciale del destino del paese. E non solo per la scelta fra monarchia e repubblica ma anche perché viene contestualmente eletta l’Assemblea costituente, quell’organo che di lì a poco si sarebbe  occupato di redigere la nuova Costituzione.

L’affluenza alle urne è larghissima: circa il 90% degli aventi diritto al voto esprime la propria preferenza, decretando la vittoria della Repubblica con circa il 55% dei voti.

Ma è il numero delle donne elettrici a impressionare: 12.998.131, contro gli 11.949.05 uomini, decretando di fatto il loro ruolo chiave nel risultato del referendum. A maggior ragione perché, nella campagna elettorale, più di uno aveva messo in dubbio la loro capacità di scelta autonoma.

I dati sull’affluenza femminile non devono però sorprendere: dopo gli anni bui del fascismo, quando il ruolo della donna era meramente legato all’accudimento dei figli e della casa, l’esperienza della guerra e della successiva Resistenza rinvigoriscono gli ideali di libertà e uguaglianza, soprattutto in ambito sociale e lavorativo. Come scrive un volantino dell’UDI, Unione Donne Italiane, le donne devono votare per una “democratica Repubblica” che garantisca a “uomini e donne un lavoro equamente retribuito”, oltre alla salvaguardia dell’infanzia e dei più deboli. Ma è un punto, scritto su quel volantino, che impressiona ancora oggi, forse più di allora: quello che si chiede è l’elevazione politica e sociale delle donne e la tutela del loro lavoro.

Dei 556 componenti dell’Assemblea costituente, 21 erano donne. Tra queste madri costituenti, come vennero ribattezzate, c’erano Nadia Gallico Spano, militante insieme al marito nel PCI (e per questo condannati a morte dal regime collaborazionista di Vichy), Marisa Rodano, una delle fondatrici dell’UDI, Nilde Iotti (che sarà la prima donna a ricoprire, anni dopo, la carica di presidente della Camera) e Lina Merlin, alla quale si deve la parità di genere, espressa dall’articolo 3 della Costituzione.

Negli anni successivi è stato spesso chiesto a quelle donne che avevano votato per la prima volta al referendum un commento sulla loro partecipazione e sulle emozioni che avevano provato in quel giorno.

I pensieri e i ricordi erano tutti simili: c’è chi ha detto che «la donna era troppo schiava, prima», oppure che «il 2 giugno fu un progresso per le donne, che si sentirono più considerate». Qualcuna ha anche ricordato che le «tremava la mano quando dovevo mettere la preferenza».

Ma, soprattutto, più di una ha voluto ricordare l’insegnamento che quel primo voto porta con sé: «Alle ragazze di oggi dico di andare a votare. Perché votare conta. Fate quello che volete, ma esprimete la vostra volontà».